5779. 2/12 – Alberto Garutti
09.10.2018 – 06.11.2018
Alberto Garutti
Idria, Tulipaniera e Giara, 2009
dalla serie Che cosa succede nelle stanze quando gli uomini se ne vanno?, 1993-2018
ceramica, vernice fosforescente
dimensioni variabili
“Penso la casa quando non è abitata: immagino che gli oggetti, le cose, i mobili vedano la luce del giorno e della notte, sentano suoni e rumori provenire da luoghi vicini o lo squillo del telefono risuonare nella stanza […]. Quando lo spazio espositivo chiude, si spengono le luci e tutti se ne vanno, alcuni mobili, tavoli, sedie e vasi presenti nello spazio espositivo si illuminano perché dipinti con una pittura fosforescente. Questi oggetti, domestici e quotidiani, si mimetizzano nello spazio della galleria, tanto da non essere riconosciuti come arte. Lo spettatore non li vedrà se non come semplici oggetti d’arredo […]. L’opera si può solo immaginare, pensare, aspettare” – Alberto Garutti.
Parte di una serie di opere cominciata nel 1993, con Idria, Tulipaniera e Giara l’artista si appropria di oggetti domestici della tradizione ligure per continuare la sua sottile analisi critica dei sistemi espositivi. Il titolo di questa serie, Che cosa succede nelle stanze quando gli uomini se ne vanno? appare come unvero e proprio manifesto: l’artista crea una famiglia di opere la cui fruizione non è mai completa, e la cui apparenza è studiata per i momenti in cui è ‘disattivata’. In altre parole l’opera si illumina, concettualmente e fisicamente, quando non è osservata, quando è priva di spettatore. Alberto Garutti modifica così la percezione che il pubblico ha dell’opera: “Essa si può solo immaginare, pensare, aspettare”. È in questa tensione immateriale che si svela il lavoro dell’artista, per Garutti l’opera si realizza solo nell’incontro con lo spettatore: a lui si chiede un paziente sforzo nel cercarla.
In questo caso, in perfetta sintonia con le premesse di 5779 e il suo desiderio di smontare specifiche regole del fare mostre, l’opera di Alberto Garutti vive in una sorta di “eclissi espositiva” poiché il contesto in cui è esposta, BUILDINGBOX, permette di vedere le sue opere anche quando solitamente non sono visibili.
BUILDINGBOX è uno spazio indipendente facente parte della galleria, caratterizzato da un programma autonomo. Il progetto inaugurale, a cura di Nicola Trezzi, apre nella settimana di Rosh HaShana, il capodanno dell’anno 5779, come dice il titolo stesso, secondo il calendario ebraico.
Seguendo queste premesse, ossia una vetrina visibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e un calendario di 12 mesi (Nisan, Iyar, Sivan, Tammuz, Av, Elul, Tishrei, Marcheshvan, Kislev, Tevet, Shevat e Adar), 5779 è una mostra collettiva nella quale le varie opere d’arte non sono presentate una vicino all’altra, bensì piuttosto una dopo l’altra. La struttura del calendario, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, diventa la linea guida per la presentazione delle opere di molteplici artisti; questa impostazione trasforma il concetto stesso di mostra collettiva: da coesistenza e giustapposizione, a linearità e processione.
Inoltre, questo tipo di strutturazione decostruisce l’essenza stessa della mostra collettiva, che è, per definizione, una mostra con varie opere d’arte, di vari artisti, presentate una vicino all’altra in uno spazio definito e per un periodo di tempo limitato. Con 5779 l’idea della mostra collettiva, nella quale opere d’arte di diversi artisti appaiono una dopo l’altra nello stesso spazio – sostituendosi, subentrando l’una all’altra – suggerisce un’inversione dell’equazione alla base del fare mostre. Piuttosto che organizzare una mostra a partire dallo spazio, come succede usualmente, questa volta la mostra viene costruita sulla base del tempo.