Yuval Avital
Vaso aperto, Daimon e Guardiani Effimeri, dalla serie Vasi terrestri
2025
argilla polimerizzata auto-indurente, polvere di argilla, stucco, colla vinilica
100 x 100 cm

 

Yuval Avital
Vaso ferito, dalla serie Vasi dell’anima
2023
olio su tela
50 x 50 cm

 

Yuval Avital
Spirito n.6, dalla serie Spiriti
2025
argilla polimerizzata auto-indurente, acquerello, tessuto, resina epossidica, rete metallica
60 x 70 x 53 cm

Yuval Avital, Fantoccio di argilla n.9 (2022)
terracotta e pigmenti naturali
13 x 15 x 6 cm
Installation view Lessico Animale. Prologo, APE Museo Parma, 2022
ph. Martina Pizzigoni

Yuval Avital – Con l’argilla dei nostri corpi

06.11.2025 – 13.12.2025

Dal 6 novembre al 13 dicembre 2025, BUILDING TERZO PIANO presenta Con l’argilla dei nostri corpi, mostra personale dell’artista Yuval Avital, a cura di Cristiano Leone. Rappresentato in esclusiva da BUILDING, Avital torna negli spazi della galleria con la sua seconda monografica, dopo il progetto E T E R E del 2021.

La nuova esposizione è dedicata alla ceramica e all’argilla, elementi presentati sia come materie che come soggetti. La mostra presenta un ampio nucleo di opere inedite, tra cui nuove produzioni scultoree e pittoriche realizzate in collaborazione con maestri artigiani italiani, insieme ad alcune sculture già note dell’artista. Con l’argilla dei nostri corpi esplora la dimensione plastica e simbolica di una materia prima profondamente umana, divenuta centrale nella sua pratica.

 

Questa mostra segna una nuova tappa del dialogo tra Yuval Avital e Cristiano Leone, un sodalizio nato con Lessico Animale e cresciuto negli anni attraverso un’affinità profonda che si basa su una visione condivisa dell’opera d’arte come organismo vivente, in cui materia e pensiero si riflettono a vicenda, generando spazi di esperienza sensibile che uniscono rigore concettuale e intensità poetica.

 

Il percorso espositivo si apre con una grande installazione ambientale che accoglie il visitatore in BUILDING TERZO PIANO: un “teatro” a terra, composto da decine di tele e sculture, di piccolo e medio formato, realizzate tra il 2022 e il 2025 con varie tecniche ceramiche, tra cui ceramica smaltata e cristallina, engobbi, argilla polimerizzata e resinata, in dialogo con materiali eterogenei. Le opere sono disposte come una moltitudine silenziosa e ieratica, simile a un popolo di presenze del subconscio, portate su un palcoscenico teatrale. La scelta di collocare le opere direttamente sul pavimento enfatizza la dimensione “terrestre” dell’argilla. L’allestimento inoltre permette una doppia lettura: da un lato, l’impatto corale dell’installazione; dall’altro, l’unicità e la ricchezza espressiva di ciascuna opera, che singolarmente concorre a formare un pubblico immobile, una comunità straordinariamente variegata e viva. Di fronte a questo teatro è esposta una selezione di Maschere sonore di ceramica e gres, realizzate nel 2019, precedentemente esposte in musei e istituzioni europee. Le sculture, allestite come un coro, evocano gli aspetti e le pratiche icono-sonore e rituali proprie della sua ricerca artistica.

 

Il percorso espositivo comprende anche degli oli su tela della serie Vasi dell’anima (2023), dove il vaso diviene archetipo e simbolo dell’io profondo e metafora della fragilità dell’uomo; e delle opere dalla serie Vasi terrestri (2025), dove l’artista impasta dell’argilla auto-indurente a polvere di argilla, stucco e colla vinilica creando opere bidimensionali ma dall’aspetto fortemente tattile.
Nella mostra Con l’argilla dei nostri corpi l’iconografia dell’artista si sviluppa nella bi e tridimensionalità della pittura e della scultura, dialogando con le qualità plastiche e simboliche della materia per farla convergere nei suoi vettori di ricerca: l’umano, il subconscio, l’istinto e il rito.
L’argilla, materia viva e collettiva, custodisce il corpo e la memoria condivisa.
Nella pratica artistica di Avital, questa materia diventa linguaggio, corpo e rito: segno di un gesto che unisce, eco di un tempo comune. Nel suo silenzio resta la traccia del tocco, fragile e universale.

Testo curatoriale di Cristiano Leone

Nella terra vive un respiro originario. L’argilla ne è la forma visibile: materia primordiale che accoglie e trasmette, che raccoglie le tracce di chi la modella e scolpisce memoria nel gesto. Quando ho visitato lo studio di Yuval Avital – il cui lavoro seguo ormai da anni come un’origine necessaria, una sorgente che continua a generare, accogliere e trasformare, come fa la terra con ciò che ama -, ho riconosciuto immediatamente che la sua nuova produzione nasceva da questo ascolto profondo della materia, da quella tensione che parte dal suolo e si espande verso la luce. Tutto nella mostra risponde a questo richiamo: Con l’argilla dei nostri corpi diventa titolo, paesaggio e orizzonte spirituale di un progetto che celebra l’origine e la metamorfosi.

 

Il titolo trae ispirazione dai versi del mistico persiano Omar Khayyām:

 

«Con l’argilla dei nostri corpi fanno brocche e coppe;
e delle brocche dicono: Io fui come voi, e voi diverrete come me.»

 

In queste parole vibra la consapevolezza che ogni forma è passaggio, che la materia continua a vivere, che ciò che è diviene ciò che sarà. L’argilla, nella visione di Avital, è flusso, ritorno, rinascita.

 

Questa mostra si inscrive nella traiettoria dell’artista ma assume al tempo stesso una voce autonoma, distinta e attuale: la materia come corpo e respiro, in cui l’esperienza del passato si evolve e si emancipa, diventando parentesi potente e presente, un atto che si situa oggi, sulla terra, nel tempo che viviamo in modo ultra-contemporaneo, perché ancestrale. La terra accoglie il gesto e lo conserva; il gesto la trasforma e la restituisce. In questa dialettica, Avital riconosce la condizione umana: siamo fatti della stessa sostanza che calpestiamo, e da essa continuamente rinasciamo. È un rigenerarsi continuo.

 

Nelle piccole ceramiche, nei vasi modellati, nelle tele su cui la materia argillosa traccia linee, si legge questo principio: la creazione è un ciclo ininterrotto. Corpo, immagine, suono, voce e gesto si richiamano e si fondono in un’unica lingua primordiale. La mostra trova così la sua forma visiva in questa sintesi: da un lato la terra grezza; dall’altro la pittura a olio che ne rimodula la forma, come un canto sospeso tra terra e cielo. Un sogno, un incubo? Forse una carezza. È l’essenza che diviene rappresentazione, e la rappresentazione che richiama l’essenza.

L’allestimento è concepito come un rito: la maggior parte delle opere si dispone al suolo, dove, altrimenti?, lungo una mezzaluna che abbraccia lo sguardo e restituisce la presenza della terra come origine e destinazione. Sulla parete opposta, le maschere sonore, volti d’argilla che emettono respiri e suoni, che soffiano ricordi non ancora avvenuti. È una voce tellurica che si fa ascoltare, con la potenza della grazia. Questo spazio, questo gesto scenografico, richiama il concetto antico di theatron: luogo non solo di visione, ma di apertura alla luce. La radianza che lo attraversa definisce le creature, famiglie di vasi umani, donne albero, spiriti, vasi animali, teatrini, confessionali, vasi terreni, cadavres exquis, e figure che nascono e si dissolvono nella stessa materia, la terra che respira, la carne del mondo. Si abbracciano, si rendono protagonisti, e ci rendono protagonisti di questo piccolo immenso teatro dell’esserci.

Ecco: non siamo spettatori. Siamo partecipanti. Entriamo nella scena e diventiamo materia, o meglio ci ricordiamo della nostra materia. In questo spazio di terra e di suono, le sculture respirano. La loro quiete è vibrazione profonda, come un basso continuo che attraversa la sostanza del mondo. Forse è per questo che, nei momenti in cui io stesso cerco una forma di serenità, quella che scuote e accarezza insieme, mi stendo a terra. È un gesto semplice, ma rivelatore: significa porsi in ascolto delle vibrazioni che calmano e risvegliano, che placano e smuovono. Forse anche queste figure, sedendosi sul pavimento, ritrovano la stessa verità: che la pace più profonda nasce dal contatto, e che la terra, prima di essere peso, è respiro.

E così, in questa parabola della materia emergono due motivi essenziali, tanto nell’antropologia quanto nella storia del pensiero: il viator, il viandante che attraversa le forme del mondo, e l’ubi sunt reges?, la domanda che cerca i re, i portatori di luce, coloro che hanno regnato e di cui resta soltanto l’eco, o a volte neppure essa. Le opere di Avital evocano questi archetipi: viandanti di carne e di terra, re che si spengono e ritornano al suolo. Ogni vaso infranto, ogni frammento, ogni coccio racconta: “Io ero altrove, ora sono qui; tu sarai ciò che io sono stato.”

In questo orizzonte, la fragilità diventa forza e la transitorietà un ecosistema di relazioni. Le figure non vivono isolate: formano famiglie, comunità di corpi in dialogo con il creato, con la materia, con il suono. La mostra si concentra sulla cura intesa come atto necessario, politico e spirituale insieme. L’umanità che Avital ritrae è vulnerabile e luminosa, perché capace di sentire. Materia e corpo si fondono, si confondono, si trasfigurano. Il corpo diventa sostanza e la sostanza diventa corpo: un movimento che attraversa il confine tra umano e oltre-umano.

 

In Avital il corpo e la materia dialogano fino a dissolvere ogni distanza tra identità e forma. La metamorfosi si fa restituzione: la terra non è solo memoria, è promessa. La cura non è solo riflessione, è gesto che costruisce. Le famiglie di terra che abitano il suolo della sala testimoniano un’alleanza: tra l’uomo e il paesaggio, tra la forma e il tempo, tra ciò che passa e ciò che ritorna.

 

Alla fine, questa mostra invita a riconoscere che ciò che siamo, corpi di terra, porta dentro di sé una vastità che si misura in profondità, non in estensione. La vera grandezza non domina: accoglie. Nelle figure modellate, nel suono che vibra, nella luce che illumina la scena, vive la consapevolezza che la finitezza è la condizione dell’infinito. La materia si trasforma e lascia traccia.

Questo è il gesto di Avital: la forma che diventa testimonianza, la sostanza che si fa canto, la voce che si fa eco. Con l’argilla dei nostri corpi è un invito ad accogliere la fragilità come portale di senso, a ritrovare nella prossimità alla terra la possibilità di una nuova verticalità. È una parentesi autonoma nella creazione dell’artista: si radica nel passato, dialoga con il presente e vive nel qui e ora. Un gesto che nasce dalla terra, si apre alla luce e ritorna al suolo, generando ancora forme, ancora respiri, ancora vita.

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