György Ligeti. Concerto per 100 metronomi

11.07.2018, 18:00-20:00

curato dal musicologo Roberto Favaro

diretto da Marco Pedrazzini

in collaborazione con Associazione Culturale Musica con le Ali

Lo ideai a Vienna nel 1962. Quando battei a macchina il progetto del pezzo su un foglio di carta, non pensavo che venisse mai eseguito. Era una bella idea. Mi ero immaginato il suono di cento metronomi che si fermavano uno dopo l’altro. Cento era solo una cifra approssimativa: pensavo ad un numero sufficiente di metronomi perché il rumore, inizialmente uniforme, desse luogo successivamente a costellazioni ritmiche che mutavano a poco a poco”. Con queste parole György Ligeti descrive e riassume programmaticamente il senso profondo di una delle composizioni più perturbanti e concettualmente propositive della storia della musica occidentale.

Scritto, appunto, nel 1962, il Poème symphonique, “cerimoniale musicale” per cento metronomi azionati da dieci musicisti coordinati da un direttore, addensa in sé una molteplicità di questioni riconducibili ai piani tra loro intersecati della spazialità e della temporalità, ovvero del visibile e dell’udibile, indizi probanti, grazie al sonoro movimento metronomico, del più vasto concetto di impermanenza.

Pertinente dunque a Seconda soluzione di eternità e alle opere che ne costituiscono la sostanza espositiva, realizzato a cura di Roberto Favaro in collaborazione con Marco Pedrazzini e Icarus Ensemble insieme all’Associazione Gli Amici di Musica/Realtà, il Poème symphonique di Ligeti richiama l’attenzione dello spettatore/ascoltatore/osservatore su una serie di nodi nevralgici dell’evento musicale e delle sue ricche implicazioni plastiche, performative, gestuali, architettoniche e visive: l’inizio e la fine, in primo luogo, cioè la manifestazione percepibile di una soglia che separa e distingue ciò che è già stato da ciò che musicalmente non è ancora, ma anche il progressivo spegnimento di tutti i cento indicatori del tempo no all’ultimo, agonizzante segnale che sancisce in ne l’uscita dal tempo specifico e speciale della musica.

In secondo luogo, l’udibilità dell’oggetto plastico, la messinscena della sua voce attraverso un gesto automatico che però, grazie ai diversi livelli di velocità dei singoli metronomi, è già in sé azione coreografica, molteplice esplorazione (o misurazione) architettonica dello spazio – “Spazio qui diventa il tempo”, direbbe Wagner.
E ancora, la complice cooperazione tra musica e arte, dove il tipico oggetto di misurazione del tempo musicale, organizzato qui in un’orchestra di cento elementi, figura anche come fascinosa installazione plastico-visiva a suo volta sonante, a ricordarci, tra l’altro, i sette metronomi del celebre Muro del tempo creato da Enrico Castellani nel ’68; e poi la qualificazione polisensoriale (per l’occhio, per l’orecchio) dello spazio attraverso la presenza fisica dei metronomi insieme all’evidenza immateriale e intangibile del loro suono; infine la ricca proliferazione di piani ritmici e cinetici sovrapposti, destinati a generare quel perdurare delle cose acusticamente mutevoli perfettamente in linea con la tipica poetica compositiva promossa da Ligeti in altre sue opere, costruita su un’apparente, immutabile staticità di fasce sonore in continua, microscopica trasfigurazione.

Il titolo, Poème symphonique, richiamando in sé (come d’altra parte la Ton Malerei, cioè pittura sonora, dei Romantici tedeschi) il genere ottocentesco della musica a programma – musica che descrive, raccontandolo con i suoni, un oggetto, una storia, un evento esterni a essa – inclina verso una potenzialità narrativa riassunta tutta nell’eloquenza articolata dei cento metronomi che riferiscono la storia complessa e inafferrabile del tempo (non solo) musicale, qui insieme orizzontale, lineare e direzionato, e al tempo stesso verticale, immutevole, privo di eventi separati, come in un irreparabile presente eterno.
Si ringraziano Valentina Branella, Ilaria D’Agostino, Salvatore De Pascalis, Arianna Mattietti.

Si ringrazia Wittner per aver fornito i metronomi.

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