Sergio Limonta
Sunrise
2023
metallo lucidato, luci tubolari a LED, impianto elettrico
200 x 200 x 50 cm ca.
ph. SLstudio

 

Sergio Limonta
Cavalli con acqua sole ed erba
2023
ferro zincato, tubi fluorescenti, luci tubolari a LED, impianto elettrico
620 x 73 x 50 cm ca.
ph. SLstudio

 

Sergio Limonta
Metal light
2023
metallo lucidato
165 x 168 x 8 cm ca.
ph. SLstudio

Unlocked area

24.04.2025 – 24.05.2025

Mostra personale dell’artista Sergio Limonta

press preview: giovedì 24 aprile 2025 alle 11.00
opening: giovedì 24 aprile 2025 dalle 17.00 alle 20.30

 

BUILDING TERZO PIANO presenta dal 24 aprile al 24 maggio 2025 Unlocked area, mostra che raccoglie una selezione di sei lavori dell’artista Sergio Limonta, tra opere inedite e produzioni site-specific realizzate ad hoc per l’esposizione.
La mostra è inoltre accompagnata da un testo critico di Alessandro Rabottini.

Relativamente alla sua poetica, l’artista Sergio Limonta afferma: “Il mio sguardo, nella reazione al circostante, è rivolto all’ambiente; che sia questo l’interno dello studio – con i materiali che accumulo, le opere che si confrontano e si richiamano o i disegni di opere non ancora realizzate – oppure l’esterno, in quella visione ambientale che chiamiamo “Paesaggio”.” In particolare, il Paesaggio che l’artista osserva per trarre ispirazione è quello dell’industria: spazi metafisici fatti di grandi ambienti, piazzali, interi quartieri che si spopolano fino al silenzio a un’ora stabilita. Oltre a esso, Limonta è attento all’estetica dei materiali e manufatti, dei segni che il lavoro imprime sull’ambiente.

La ricerca artistica di Limonta si concretizza nel riutilizzo di materiali di accumulo e di scarto che vengono trasformati in opere sintetiche e radicali, dando nuova vita ai materiali industriali.

 

Le opere esposte in mostra corrispondono ai differenti filoni di ricerca e sviluppo del lavoro dell’artista, concorrendo nell’insieme a stabilire un’interrelazione e un’armonia con lo spazio espositivo, sia nelle architetture sia dal punto di vista concettuale. In BUILDING TERZO PIANO le opere forzano lo spazio, si collocano al limite dell’ingombro; la presenza della singola opera non è infatti da computarsi esclusivamente per l’ampiezza dimensionale, ma anche per “l’ingombro” visivo che, in alcuni casi, può essere determinato anche dall’intensità luminosa.

Il percorso espositivo si apre con Graffiti (2025), l’opera di maggiori dimensioni tra quelle proposte. L’installazione si presenta come un intervento ambientale che si relaziona con l’architettura del luogo: gli scaffali metallici dipinti che compongono l’opera profilano una parte dello spazio centrale seguendo le pareti, definendosi in questo modo come intervento site-specific.
Al centro dello spazio è posizionata l’opera Love is in the air (2023) che si sviluppa a partire da semplici assemblaggi di luci tubolari e cavalletti metallici. Questi due elementi, uniti tra di loro secondo i limiti combinatori dettati dal loro stesso design, consentono la definizione di forme semplici che, di volta in volta, entrano in relazione con l’architettura del luogo e con il contesto nel quale si sviluppa l’intervento.
Il percorso continua con le opere Toro e Power of the East, entrambe datate 2025, e appartenenti a una serie concepita a partire dal 2021: costituite da robuste cornici metalliche, progettate specificatamente per ogni opera, le due installazioni ospitano una serie di lampade tubolari led. La natura visibile del metallo e la luce algida dei neon contribuiscono ad incrementare l’aspetto quasi da manufatto industriale dell’opera.
Infine, sono presentati due collages realizzati con tavole preparatorie, progetti di opere e materiale di studio.

 

 

Orizzonte della disponibilità

 

Sembra che una certa parte di mondo, almeno quella che abbiamo la fortuna di conoscere e abitare, viva una condizione di estrema e immediata disponibilità. Le cose sono disponibili, istantanee e predisposte, esponenzialmente progettate a favore di sempre maggiori e personali esigenze. Una distesa di merci fabbricate vasta come un orizzonte che non si riesce ad abbracciare con lo sguardo, un orizzonte che eccede. La replica costante di misure standardizzate che si sommano tra loro, progrediscono, si precisano espandendosi.

 

Con questo regime di disponibilità e immediatezza delle cose, le opere di Sergio Limonta paiono volersi porre in relazione: vernice spray, profili metallici e luci tubolari LED sono per la maggior parte i loro materiali, assunti nelle misure e nelle variazioni che l’industria già offre.
C’è una storia che attraversa le storie dell’arte contemporanea e che al suo interno ribolle, riaffacciandosi in più punti della superficie, in momenti anche tra loro distanti, ed è la storia della relazione tra creatività e materiali standardizzati, misure in commercio e cose immediatamente reperibili. È una storia che, a partire da Dada e attraverso artisti come Emilio Prini, Alighiero Boetti e Dan Flavin, ha evidenziato un momento della storia occidentale identificandolo con l’emergere di un sempre maggiore e facile accesso alle cose e alle loro manifestazioni prefabbricate. Un momento della storia occidentale in cui certi materiali si affacciavano sulla vita quotidiana come nuovi, presentandosi come il rivestimento di una modernità galoppante, che pareva non dovesse fermarsi mai. E c’è un’altra storia, che a questa si intreccia, e che vede i gesti scultorei trasferiti altrove, dagli studi degli artisti agli spazi della fabbricazione specializzata. In questa storia, la materia non è plasmata o scalfita ma prima progettata e poi eseguita da altri, le sue sono le proprietà del calcolo e della finitura meccanici. Qui l’arte assorbe in sé procedure di realizzazione proprie del design industriale, secondo una linea di porosità tra atelier e officina che, a partire dal minimalismo di Donald Judd, giunge fino ai nostri giorni attraverso l’esperienza del Finish Fetish di Robert Irwin e John McCraken.

 

I materiali e le procedure delle opere di Sergio Limonta si situano negli interstizi di entrambe queste storie: se alcuni di essi fanno parte del paesaggio urbano ormai da decenni e oltre – e sembrano dare per scontata l’economia del readymade – altri si sintonizzano con le possibilità tecnologiche presenti di una fabbricazione evoluta. Altri ancora, con la produzione industriale intrattengono un rapporto di mimesi solo apparente: le tonalità delle vernici spray di Graffiti (2025), ad esempio, non si trovano in commercio ma sono state richieste e prodotte, secondo un principio di variazione soggettiva e di rigenerazione individuale di un segno, come quello del graffito urbano, cui siamo talmente tanto esposti quotidianamente da considerarlo ormai l’oggetto di una percezione sorda e abituata. In atto sembra esserci una tensione ambivalente rispetto al dominio della disponibilità e della reperibilità, la volontà di abitare questo dominio pur cercando, al suo interno, uno spazio di autonomia espressiva. È una tensione che ospita un impulso che è allo stesso tempo pragmatico e poetico, come quello di cercare una propria posizione in relazione a ciò che è disponibile, come rispondere alla necessità di fare con quello che c’è intorno. Trovare un allineamento con le forme delle cose come sono offerte, come esistono, come si possono ordinare e comprare. Questo allineamento diventa un campo di elaborazione formale, lo spazio di un’architettura personale e temporanea, posata più che eretta, pronta a ritirarsi, fatta quasi per un corpo solo. Un’architettura di saturazione, che sembra raggiungere un vuoto occupando spazio.

 

C’è qui una logica costruttiva che procede per assemblaggio e che dell’assemblaggio manifesta tutta la reversibilità. Una logica che non soltanto è interna ad ogni opera ma che si estende anche alla relazione di ciascuna opera con le altre nello spazio. Qui la luce, come i volumi, è un ingombro, per quanto provvisorio, e insieme una temperatura, una cosa del tatto e non solo della vista. Lo spazio è occupato e definito, assemblato da cose e materiali con cui intratteniamo un sentimento di familiarità, che troviamo anche fuori, nel mondo, per strada. Sono, al tempo stesso, i materiali e le forme della disponibilità immediata e quelli di una falsa mimesi, e in questo territorio di mezzo ci muoviamo, non sapendo spesso riconoscere la differenza, cercandola in un orizzonte che non si riesce ad abbracciare con lo sguardo, dentro una modernità che non si ferma, che eccede.

 

Alessandro Rabottini

Artisti